Operazione Santa Barbara- Il sangue scorre nel buio

Sabato 1° settembre 1990 Reggio Calabria periferia Nord quartiere ARCHI CEP. Sono da poco passate le 21.00. E' da meno di un'ora che la Fiat Tipo bianca staziona nella piazzetta a poche decine di metri dalla Chiesa di Santo Stefano Da Nicea.

Lo spiazzo si trova sul lato destro dell'ingresso principale del Lotto secondo e gli alberi presenti oscurano maggiormente il luogo, non facendo filtrare la fioca luce dei pochi lampioni che illuminano quel tratto di strada. Nella piccola piazza vi si trovano anche delle panchine e nelle calde serate d'estate sarebbe il luogo ideale per godere di un po' di frescura della sera. Ma il 1990 non è certamente l'anno adatto per attardarsi al calar del buio fuori casa specie nel Quartiere di Archi Cep. Veramente non solo il 1990 ma anche gli anni precedenti non si sono prestati a questo genere di svago per gli "Arcoti". E' in atto la seconda guerra di mafia e, a Reggio Calabria fa sempre caldo anche nei mesi invernali e non certo per il clima mite. Sotto gli alberi della piazzetta nella parte più scura è ferma una Fiat Tipo di colore Bianco. Questa autovettura ha fatto il suo ingresso nella zona a fari spenti e a velocità lenta, cercando di passare inosservata e andando a posizionarsi in un punto preciso a ridosso delle palazzine Lotto II e di un muro di cinta. A bordo troviamo due nostre vecchie conoscenze ovvero Braccio Di Ferro e Vasco, poliziotti in servizio presso la Squadra Mobile di Reggio Calabria. L'indagine e l'attività investigativa mirata a stroncare la guerra in atto tra le diverse cosche rivali del Reggino, è in pieno svolgimento. Quella è la terza sera che i due Agenti si trovano ad Archi Cep con il preciso scopo d'impedire un omicidio. Paradosso incredibile, conoscono il nome di colui che vuole commettere l'omicidio insieme ad alcuni complici ma non sanno chi è la vittima. Chi impugnerà l'arma che verserà il sangue dell'assassinato è il killer della cosca Rosmini, Giuseppe Lombardo alias "Cavallino" alias "Nicola", Alias "il killer dalla mira Olimpionica"! La vittima invece sino a quel momento è un perfetto sconosciuto senza un volto e senza un nome, che gli assassini chiamano "il Zappa". Questo omicidio è stato programmato dalla cosca di San Giorgio Extra, con molta accortezza. Quello è il terzo tentativo, I due precedenti sono stati sventati dalla Squadra Mobile per due sere di seguito. Ma procediamo con ordine e continuo il racconto per qualche pagina parlando al singolare perché mi viene più facile ripercorrere con la mente quei tragici fatti macchiati di sangue, Poi ritornerò al metodo utilizzato in precedenza. Io Antonino FRANCO comunemente chiamato Nino, nome in codice "Braccio Di Ferro" per l'operazione Santa Barbara, racconterò come una calda sera d'estate si tinse di rosso. Era luglio del 1990 e se non ricordo male mancava meno di una settimana alla fine del mese. Io, sposato da alcune settimane avevo trovato la mia pace interiore, ovvero una tranquilla attività presso l'Ufficio Concorsi del locale Comando Gruppo meglio conosciuto come il 208. Turno 08.00/14.00 tutti i giorni ed un servizio del tutto risposante. Tutto sommato avendo un altro cervello ed un'altra mentalità non operativa avrei potuto considerarmi fortunato per la serenità lavorativa raggiunta. In quel periodo era stato indetto un concorso come Agente nella Polizia di Stato e centinaia e centinaia di giovani aspiranti per settimane fecero la fila in Caserma per presentare la domanda. Un bel mattino mi vidi capitare davanti il collega A. M. (il futuro Vasco) con il quale avevo condiviso l'esperienza del XII Reparto Mobile di Villa San Giovanni. Aveva accompagnato la sua allora fidanzata per lo stesso scopo delle altre centinaia di giovani che quel giorno affollavano la palestra e il piazzale della caserma ex 208. Terminate le operazioni di presentazione della domanda, il collega con voce bassa mi disse semplicemente queste parole:- perché non lasci questo posto e vieni a lavorare alla Squadra Mobile con me? Posso farti arrivare in pochi giorni. In tutta sincerità in quel momento pensai che stesse dicendo minchiate. Sapevo benissimo come funzionavano le cose nell'Amministrazione e che la meritocrazia non veniva nemmeno presa in considerazione, neanche per i trasferimenti interni. Io ero un caso lampante! 5 anni di antiterrorismo di sinistra presso la Divisione Investigazioni Generali Operazioni speciali (D.I.G. O.S.) di Roma, a contato con i peggiori terroristi del panorama eversivo nazionale. Arrivato a Reggio Calabria prima il XII Reparto Mobile meglio conosciuto come "Celere" poi trasferito in Questura, Ufficio Servizi tanti piantonamenti in ospedale e poi Comando Gruppo per diversi incarichi tra cui addetto all'archivio e alla fine Ufficio Concorsi. Quando si parla di "meritocrazia" in ambito lavorativo, io più che ridere sogghigno perché ho vissuto in prima persona la realtà di quegli anni in seno all'Amministrazione della Polizia di Stato e conosco perfettamente i meccanismi che facevano girare quel sistema! Badate bene sto parlando di oltre 30 anni fa e a quel tempo avevano più possibilità di ottenere vantaggi economici e di carriera, magari chi era bravo a impacchettare i plichi da inviare in Procura, oppure coloro che avevano trascorso anni a fare da autista portaborse a varie Personalità delle Istituzioni, anziché un Operatore di Polizia che tutti i santi giorni si scuciva veramente il culo rischiando la pelle per le strade. Oggi non so se le cose sono cambiate, io me lo auguro.
Il sogno di ogni Poliziotto o qualsiasi altro appartenente alle Forze di Polizia è sempre stato quello di prestare servizio nella propria città o almeno vicino casa. E questo sogno relativamente fu anche il mio che dalla D.I.G.O.S. di Roma volevo tornare nella mia terra anche per stare vicino ai miei genitori anziani allora ancora viventi. Con il senno di poi, con il passare degli anni con la maturità e con l'esperienza ti rendi conto che mai errore più grande commisi. Ma questo è un altro discorso, torniamo alla meritocrazia in ambiente lavorativo. Nonostante il mio stato di servizio, la parte più facile fu il mio trasferimento da Roma a Reggio Calabria. Un bel mattino mi presentai presso il 1° reparto Mobile di Roma alla Castro Pretorio e chiesi di parlare con il Dottor Enrico Avola. Avevo saputo che stava costituendo il XII reparto Mobile a Reggio Calabria con compiti di P.G. e di antisequestri e cercava appunto anche gente del luogo che oltre a parlare il dialetto calabrese conoscesse quei posti. All'epoca dato che prestavo servizio in borghese non badavo molto al mio aspetto esteriore anzi per la verità non lo curavo affatto. E pure quella mattina non cercai nemmeno di rendermi più presentabile andando a parlare con un comandante di reparto dalla mentalità militare. A quel tempo il mio peso forma si aggirava tra i 105 e 110 chilogrammi. Barba lunga ed incolta, capelli lunghi e con addosso la 92 SB d'ordinanza, tre caricatori di riserva ed una 357 magnum 4 pollici con fondina ascellare. Inoltre avevo sempre con me un paio di manette fuori ordinanza le quali erano più pesanti di quelle regolamentari ed infine un coltellaccio dalla lama lunga 20 cm legato alla gamba. Premesso non è affatto un'esagerazione e i colleghi che mi conoscono bene sanno che dico la verità. Che volete farci, in quegli anni tutto questo si poteva fare ed io ero sempre ossessionato dalla paura di rimanere disarmato. Oggi ripensandoci mi chiedo come facessi a muovermi con tutta quella ferraglia addosso! Forse perché avevo 24 anni e con le bistecche che mi mangiavo avevo la forza di un bue. Comunque entrato nell'Ufficio del Comandante Avola, lui era in compagnia di altri Funzionari e Ispettori. Mi presentai subito avanzando la mia richiesta. Mi scrutò a lungo senza parlare, forse pensava da quale zoo o foresta fosse fuggito quell'orso che si trovava di fronte a lui. Dopo alcuni minuti impiegati nell'osservarmi dalla testa ai piedi se ne uscì con una frase compiuta e di rito:- Secondo me lei non è adatto a fare servizio presso un reparto inquadrato, lei presta servizio in borghese presso una squadra che non osserva certo il regolamento oppure l'ordinamento, insomma non ce la vedo in divisa in un reparto Mobile? Ecco qua pensai, mi ha fatto fuori. Tutto sommato ero contento di quella sua risposta . A colloquio con lui ci ero andato controvoglia perché si volevo arrivare a casa ma in fondo io a Roma con i colleghi della mia squadra stavo bene, insomma ero di due cuori. Nel salutare il Comandante Avola gli dissi semplicemente, Dottore se Lei vuole farmi provare, caso contrario posso sempre ritornarmene a Roma. Erano i primi di ottobre del 1987 e uscì dalla Castro Pretorio senza provare alcuna sensazione, non mi interessava come sarebbe andata a finire la mia richiesta! Invece meno di dieci giorni dopo mi arrivò il trasferimento. E' proprio vero quando non aspiri ad un risultato lo ottieni sempre anche se poi non ci tieni più molto. Il 14 ottobre del 1987 chiusi definitivamente la mia esperienza con l'antiterrorismo per andare ad affrontare gli irti sentieri dell'Aspromonte. Al XII Reparto Mobile trascorsi circa 14 mesi di servizio e ancora oggi che sono in pensione devo ammettere che fu un'esperienza grandiosa e formativa. Non credo di aver deluso le prospettive del Comandante Avola in quel periodo e penso che il mio spirito di adattamento mi aiutò ad inserirmi anche in quel contesto diciamo militare. Ma in cuor mio fremevo, Il mio desiderio era quello di essere trasferito in Questura a Reggio Calabria e alla DIGOS. Aspirazione più che legittima visto il mio trascorso a Roma pensai! Ma se pensavo che la meritocrazia potesse darmi una mano, pensai proprio male. Il trasferimento era ministeriale e all'istanza da me presentata il competente Ministero rispose picche. Da quel momento iniziai a conoscere i meccanismi che facevano funzionare l'intero apparato e compresi che per ottenere alcune cose la chiave giusta era la "raccomandazione" e non certo affidarsi alla meritocrazia. Insomma fu come scoprire l'acqua calda. Primo passo trasferimento in Questura a Reggio Calabria, occorreva la chiave giusta al Ministero degli Interni a Roma. E questa chiave la trovai nel Dottore Francesco Sirleo il quale era stato un mio ex dirigente alla DIGOS a Roma e ora ricopriva un grosso incarico all'UCIGOS (Ufficio Centrale Investigazioni Generali Operazioni Speciali). Quando mi ricevette nel suo ufficio al Viminale, mi disse:- Riggitanu e tu chi fai ccà (Sirleo che aveva prestato anche servizio alla Squadra Mobile di Reggio Calabria prima di essere trasferito a Roma, nel periodo della sua dirigenza alla DIGOS romana per lui ero sempre stato il "riggitanu". Forse non sapeva nemmeno come effettivamente mi chiamavo, almeno sino a quella sera quando lo andrai a trovare al Ministero a Roma chiedendogli di farmi trasferire in Questura. A questa mia richiesta da quel galantuomo che era mi rispose:- e c'era bisognu mi nchiani sinu a Roma? Bastava na telefonata. Meno di una settimana dopo mi arrivò il trasferimento per la Questura. Pensai, è fatta ora arrivare alla DIGOS sarà un gioco da ragazzi. Ma quando mai, povero illuso. Da gennaio del 1989 a luglio del 1990 trascorsi il periodo più brutto del mio servizio presso l'ufficio servizi della Questura di R.C. Piantonamenti in ospedale a non finire, servizi di ordine pubblico e ogni altro svariato genere di servizi che oggi definirei strampalati. Ma come, un ex appartenente all'antiterrorismo di Roma costretto a fare questi lavorai, mi venne più volte da pensare! Nonostante le mie istanze per essere trasferito alla Digos di RC (movimento interno), mi vidi superare da colleghi più giovani di me e senza alcuna esperienza. Insomma non sapevano nemmeno la differenza tra N.A.R. e N.A.P. Eppure loro passarono alla Digos e io a fare piantonamenti. Alla faccia della meritocrazia. Ma torniamo a quella famosa mattina di luglio del 1990 quando il futuro "Vasco" mi disse che se volevo andare alla Squadra Mobile per lavorare insieme a lui in un'indagine molto delicata e complessa, mi avrebbe fatto arrivare in pochi giorni. Io oltre al pensiero che quella era una minchiata mi trattenni a stento nel non ridergli in faccia. Sinceramente non lo credevo possibile. La mattina dopo in ufficio mi arrivò una telefonata, era Vasco. Mi disse:- Nino esci un po' prima delle 14.00 e vieni alla Squadra Mobile, il Dottore Speranza ti vuole conoscere e parlare. Sinceramente Rimasi senza parole. In ogni caso alle 13.45 in divisa così come mi trovavo mi presentai nel palazzo della Questura che all'epoca era ancora a Santa Caterina. Rintracciai Vasco ed insieme ci recammo nell'Ufficio di Speranza. Ricordo ancora il breve colloquio avuto con lui anche se di fatto a parlare fu quasi sempre Speranza. Io rammento che per tutto il tempo in cui rimasi fermo davanti al Bracco, tenni le braccia dietro la schiena. Chissà forse avevo paura che da un momento all'altro mi mordesse il braccio da come parlava, anzi ringhiava. Lo ammetto mi fece paura. Il 31 di luglio quando ancora risultavo in forza presso il Comando Gruppo ex 208 Ufficio Concorsi, iniziai il mio servizio alla Squadra Mobile di Reggio Calabria con il turno serale insieme a Vasco. Ricordo che appena giunto incontrai proprio il Bracco che stava uscendo. Con cautela e tenendomi a distanza di sicurezza, gli feci molto rispettosamente notare che il trasferimento ancora non era arrivato al Comando Gruppo e che conseguenzialmente io risultavo ancora in servizio presso il citato Ufficio. Il bracco mormorò qualcosa d'incomprensibile, io riuscì a capire solamente:- Non ti preoccupare vai a lavorare. Iniziò così il mio periodo di addestramento ed apprendistato relativo all'indagine che poi sfociò nell'Operazione Santa Barbara. Vasco mi spiegò il funzionamento degli apparati di ascolto ed intercettazione delle comunicazioni radio che avvenivano tra i malavitosi ed insieme sviluppammo l'ulteriore conoscenza dei termini e delle metodologie utilizzate dalle cosce di ndrangheta. In 3 settimane applicandomi giornalmente in lunghe ore di lavoro che spesso si protraeva sino a notte tarda, accumulai conoscenza esperienza e capacità che mi permisero di coadiuvare Vasco nell'attività investigativa. . Attraverso l'ascolto delle comunicazioni radio riuscimmo a sventare due tentativi di omicidi che erano stati organizzati dai killer della cosca di San Giorgio Extra. Altri purtroppo non riuscimmo ad evitarli. Mi ero dimenticato di aggiungere che un altro elemento si era aggiunto al duo Vasco Braccio di Ferro, infetti giunse ad aiutarci anche R.R. il "Gatto" Ma torniamo a quella sera di sabato 1 settembre 1990. Come ho già scritto, l'intenzione di "Cavallino" alias Giuseppe Lombardo killer della cosca Rosmini, era quella di commettere un omicidio ad Archi, naturalmente ne eravamo venuti a conoscenza tramite le intercettazioni radio che venivano anche registrate. In quel contesto la sfortuna volle che nonostante gli sforzi investigativi di ogni genere non riuscimmo ad identificare la vittima. Per cui nelle due sere precedenti sabato uno settembre, ovvero giovedì 30 e venerdì 31 agosto, quando nella sala intercettazioni radio allestita in Questura ascoltammo le comunicazioni radio dei killers che si trovavano già appostati ad Archi pronti a colpire ed uccidere, adottammo il sistema di far girare alcune macchine della polizia, sia con i colori d'istituto che in borghese con i lampeggianti accesi. Lo scopo era quello di dare fastidio agli assassini e impedire loro di agire e muoversi dal loro nascondiglio segreto che purtroppo non eravamo nemmeno riusciti ad individuare. D'altronde un tentativo del genere ad Archi Cep era come cercare il classico ago nel pagliaio. Per due sere di seguito, riuscimmo nell'intento e ad una certa ora tarda, sempre attraverso le intercettazioni, li sentimmo dire che era il caso di desistere. Ricordo che per riferirsi alla nostra presenza in loco in quelle occasioni utilizzarono il termine di "fidanzata" per indicare la Polizia. Meglio andare via c'è la mia fidanzata in giro, disse "Cavallino"! caspita che fantasia che avevano! D'altronde da vigliacchi assassini abituati ad ammazzare e uccidere solo gente disarmata cosa ci si poteva aspettare dal loro Q.I.
Narrazione che ritorna al sistema tradizionale.
Sabato primo settembre 1990 Vasco e Braccio di Ferro alle 19.00 erano già nella sala intercettazioni, sempre più convinti che gli assassini, non avevano desistito dalla loro intenzione di sparare e uccidere e che ci avrebbero riprovato quella sera. Difatti puntuali giunsero le comunicazioni tra costoro da cui gli Agenti in ascolto compresero che Cavallino è compagni erano già in zona Archi appostati e pronti a esplodere i loro colpi letali contro l'ignara e sconosciuta vittima. Il tempo di mettere in funzione l'automatismo di registrazione prendere due apparati radio portatili da dove potevano ascoltare le comunicazioni dei killer e scesero giù alla squadra Mobile a dare l'allarme. Quella sera c'era un incontro di calcio in televisione e il Pattuglione insieme ad altro personale era riunito tutto nell'Ufficio di Speranza a guardare la partita.
( Da questo momento in poi, forse quanto sto per scrivere susciterà diverse sensazioni in chi leggerà e soprattutto in chi era presente quella sera e ha vissuto quei momenti. Ma non importa se mi attirerò critiche, lamentele o altro. Per mia coscienza posso solo affermare che quanto ho scritto e quanto scriverò in questo mio racconto corrisponde alla pura e semplice verità. Niente di esagerato oppure inventato.)
Entrando di corsa nell'Ufficio del capo, Vasco incominciò a gridare:- Stanno per uccidere qualcuno ad Archi i killers sono già appostati. Il grido di allarme non suscito alcuna reazione, anzi qualcuno disse:- si pure ieri sera e l'altro ieri sera. Insomma a differenza di quanto si aspettavano Vasco e Braccio di Ferro nessuno si mosse rimanendo tutti a guardare in tivù la disputa di calcio. Braccio di Ferro osservando questo comportamento, rimase allibito. Lui abituato alla prontezza e all'operatività della D.I.G.O.S. di Roma, si sarebbe aspettato che alle parole del collega Vasco, il personale presente sarebbe corso subito alle macchine e a sirene spiegate diretto verso Archi. Invece Niente tutti rimasero comodamente seduti chi in poltrona e chi sulle sedie. Chissà pensò Braccio di Ferro, forse ormai dopo centinaia di omicidi sono abituati e li considerano di routine. Vasco gli fece cenno di seguirlo ed insieme uscirono dalla stanza. Mentre scendevano le scale, Vasco esclamò:- Andiamo noi avanti. Nel garage di Via Montevergine presero la prima auto che capitò loro davanti. Una Fiat tipo di colore bianco. A tutta velocità si diressero verso l'estrema periferia nord della città feudo di potenti cosche di ndrangheta come i De Stefano i Condello i Tegano e altre ancora. Durante il Percorso Vasco non smise di rimanere in ascolto dei killers e dalle loro conversazioni i due Agenti compresero che ancora non avevano colpito. I due pensavano:- forse anche quella sera avrebbero fatto ad evitare che una vita fosse stroncata violentemente. All'altezza della Chiesa di San Giovanni sita sulla Nazionale, la fiat tipo bianca della Polizia rallentò notevolmente la corsa. L'autovettura girò per la traversa che portava al Cep molto lentamente. In giro non si vedeva nessuno. Giunti nella piazzetta antistante la Chiesa di Santo Stefano da Nicea, un gatto nero tagliò loro la strada. All'unisono fecero entrambi un gesto scaramantico. Non c'è che dire, sapevano benissimo al pericolo in cui andavano incontro. Le due sere precedenti in zona c'erano state altre macchine, ma quella sera invece erano completamente soli. Non c'era nessun'altra macchina della polizia in loco, nemmeno la famosa volante che di solito stazionava stabilmente ad Archi, così come scrisse la Gazzetta del Sud nell'edizione del giorno dopo domenica 2 settembre 1990 e che sempre secondo la Gazzetta detta volante avrebbe anche trasportato un ferito all'ospedale. NIENTE DI TUTTO QUESTO. Ma andiamo con ordine. La Tipo bianca si posiziona nel punto specificato in precedenza ovvero a ridosso del Lotto secondo e sotto alcuni alberi.
Per rendere meglio il quadro della situazione che si venne a creare la sera del delitto di stampo ndranghetistico, in questa immagine con la P di colore azzurro viene indicata la posizione della tipo bianca della Polizia con a bordo Vasco e Braccio di Ferro. Con la X rossa invece viene indicato il punto esatto dove di li a poco si consumerà l'omicidio. In definitiva dal punto in cui si trova posizionata la macchina della Polizia e il punto in cui Giuseppe Lombardo alias "cavallino" killer della cosca Rosmini esplode i suoi colpi mortali, di fatto sono molto meno di 100 metri, ma non è possibile alcuna visuale. Provate ad immaginare la scena. Avvolti dal buio i due Poliziotti sono fermi all'interno della macchina sotto gli alberi. Intorno ci sono degli assassini armati pronti a sparare e a commettere un omicidio. Non si sa il numero esatto di questi criminali, tanto meno i posti dove sono nascosti pronti a saltare fuori per commettere il loro vile gesto. Ogni rumore o fruscio fa sobbalzare i due Agenti e le loro mani sudate impugnano nervosamente l'arma d'ordinanza. Non conoscono il tipo di armi in possesso dei killers ed il loro volume di fuoco. Invece i due tutori della Legge sono armati della sola pistola munita di un solo caricatore da 15 colpi senza nemmeno quello di riserva. (non c'è stato il tempo materiale per munirsi di arma lunga cioè l'M12 ed in ogni caso quando si svolgono servizi mirati di appostamenti e pedinamenti, il mitra non viene mai portato perché non è facilmente occultabile. Purtroppo non sono più i tempi dei primi anni 80 quando a Roma Braccio di Ferro poteva girare tranquillamente con un armamentario di tutto rispetto. Adesso è il 1990 inoltrato, sono a Reggio Calabria ed, a nessuna alta Carica Istituzionale del Ministero dell'Interno è mai venuto in mente di fornire in dotazione a tutto il personale che svolge servizio di Polizia Giudiziaria, un caricatore di riserva. Per cui spessissimo gli Operatori di Polizia si trovavano tantissime volte a compiere servizi di appostamento e pedinamento anche in zone isolate e difficilmente raggiungibili, muniti di soli 15 colpi).
Fermi in macchina, Braccio di Ferro continua costantemente a vigilare guardarsi intorno e osservare lo specchietto retrovisore. In quel frangente tutto può accadere ed una cosa è certa, i killers sono anche molto incazzati con la Polizia per aver sprecato due sere cercando di commettere l'omicidio. In fin dei conti anche per loro rimanere per troppo tempo fuori dai loro covi rappresenta un pericolo in quanto possono rimanere vittime di agguati effettuati da elementi di cosche rivali nella guerra di mafia in atto. Mentre Vasco con lo sguardo perso nel vuoto presta la massima attenzione alle comunicazioni che intercorrono tra i killers con la vana speranza di ascoltare un particolare utile per l'identificazione della vittima sconosciuta, Braccio continua a scrutare l'ambiente circostante con la speranza di veder spuntare altri mezzi della Polizia che risulterebbero molto utili in quel momento! Ma niente, nessun lampeggiante all'orizzonte. Soli di fronte ad un pericolo che non si vede. I due poliziotti sono tesi e molto nervosi. Sfogano la loro rabbia di non poter fare qualcosa, fumando una sigaretta dietro l'altra. Ogni macchina che passa anche se sono pochissime le autovetture in circolazione, in quel breve lasso di tempo che appaiono e scompaiono alla loro vista vengono attentamente studiate da Vasco. Il suo sguardo penetra il buio della sera a tal punto che riesce ad individuare un grosso pregiudicato della cosca avversa a quella a cui appartiene Giuseppe Lombardo alias Cavallino. Si tratta di tale P.G. E' forse lui la vittima? L'intento dei due agenti è quello di bloccare l'obbiettivo dei sicari, se si riesce ad individuarlo prima che venga attinto dai colpi mortali. E' un rischio questa mossa e Vasco e Braccio di Ferro se ne rendono perfettamente conto. Il pregiudicato P.G. dopo aver effettuato due passaggi con la sua auto, si allontana in direzione della Nazionale. Gli assassini continuano a rimanere nascosti e a parlare. Dalle loro parole si comprende che la vittima, ovvero colui indicato con l'appellativo di "il zappa" non è il pregiudicato P.G. Passano ancora alcuni minuti e nella strada transita un motorino marca Si Piaggio con a bordo due ragazzi. Il mezzo a due ruote procede lentamente e i "due sbirri appostati" hanno così la possibilità di notarli con calma. Sono due ragazzi e sicuramente anche minorenni. Vasco esclama:- Li fermiamo? Che li fermiamo a fare risponde Braccio di Ferro, non vedi che sono due ragazzini. Se li fermiamo, ci scopriamo e riveliamo la nostra presenza. Vasco acconsente.
Passano pochi secondi e non appena i due ragazzi a bordo del motociclo scompaiono alla loro vista, si odono indistintamente dei colpi di pistola. Braccio mentalmente ne conta 7 ma in realtà in seguito dagli accertamenti della Polizia Scientifica risulterà che furono esplosi bel 17 colpi. L'eco degli spari gela il sangue dei due Agenti ma reagiscono subito. Braccio di Ferro che sino a quel momento impugnava la sua pistola, l'appoggia sul suo sedile di guida tra le gambe. Solo dopo si renderà conto che l'arma era si con la pallottola in canna ma anche con il cane armato. Parte sgommando e rivolto a Vasco gli grida:- prendi la pistola prendi la pistola. Lui, impegnato nella guida quindi con le mani occupate vista la loro tempestività d'intervento e la vicinanza del luogo dell'agguato era convinto che avrebbero trovato ancora i sicari sul posto. Vasco invece attacca sul tettuccio dell'auto il lampeggiante e lo accende. Contemporaneamente via radio lancia l'allarme a Quinto Roma la sala operativa della Questura. Al microfono grida più volte:- Quinto Roma Quinto Roma dalla Siena Monza 18, Omicidio in corso ad Archi Cep Sopra la Chiesa. (Negli anni successivi i due più volte si ritrovarono a ripercorrere con la mente quei tragici e pericolosi momenti e si convinsero che l'azionare immediatamente il lampeggiante al momento della loro veloce partenza dal punto in cui erano appostati, forse li salvò da uno scontro a fuoco con i killers, scontro a fuoco dagli esiti incerti anche perché loro erano solo due e armati delle sole pistole d'ordinanza munite di 15 colpi. Viceversa gli assassini erano sicuramente molto di più di numero e meglio armati. Infatti tra le varie cosche impegnate nella guerra di mafia, la cosca Rosmini era nota per avere un micidiale gruppo di fuoco).
L'auto della Polizia impiegò pochi secondi per giungere sul punto dell'aggressione mortale. Sbalzarono a terra armi in pugno convinti di dover affrontare i killers, ma la mani assassine erano già lontano.
La scena che si presento davanti a loro definirla raccapricciante è dire poco. Per terra con il Piaggio Si ancora tra le gambe giaceva un giovane coperto di sangue.
(la foto comparsa sulla Gazzetta del Sud il giorno dopo cioè domenica 2 settembre ritrae il cadavere disteso per terra. Non vi è traccia del Piaggio Si. Evidentemente il cadavere fu spostato durante l'assenza di Vasco e Braccio di Ferro)
In piedi con il volto pallido un altro ragazzo visibilmente più giovane del deceduto, ci guardava con terrore e gridava:- è mio zio è mio zio "non fici nenti" non c'intra nenti! …….MALEDIZIONE……… erano i due ragazzi che poco prima li avevano visti transitare e che VASCO voleva fermare, ma che braccio di Ferro aveva detto no in quanto il Zappa non poteva essere uno di loro perchè troppo giovani. Invece la vittima designata era proprio il giovane che adesso giaceva cadavere davanti ai loro occhi. In quel momento passò una fiat 500 e ne scese una donna una passante, la quale vedendo la scena iniziò a gridare rivolta verso i due Poliziotti:- Perché perché gli avete sparato? Era convinta che a fare fuoco fosse stata la Polizia. Braccio di Ferro si accorse che il ferito zampillava sangue come una fontanella da un gluteo. Rendendosi conto che non si poteva certo aspettare l'ambulanza in quanto rischiava di morire dissanguato, ma non potevano nemmeno abbandonare quella che oggi viene comunemente definita la scena del crimine. Fortunatamente arrivò finalmente la Volante di zona. Braccio di Ferro gridò al capo pattuglia:- Rimanete qua noi portiamo il ragazzo ferito in ospedale. Caricato in macchina il giovane lo fecero distendere nel sedile posteriore. La fiat tipo della Polizia partì da Archi Cep con lampeggiante e sirena accesa. Passò davanti la Questura di Santa Caterina ad una velocità pazzesca. Impossibile calcolare il tempo che impiegarono nel giungere al Pronto Soccorso dei riuniti. Mentre il ferito Natale COZZUPOLI di anni 15 veniva subito preso in cura dai sanitari, suo zio Domenico CATALANO, sedicenne residente a Roma ed in vacanza a Reggio Calabria, giaceva morto in una piazzetta scarsamente illuminata di Archi Cep. Il suo sangue scorreva nel buio andando ad aggiungersi a quello di tante altre vittime di quell'assurdo conflitto mafioso.

Ecco come si presenta oggi la piazzetta dove quella sera del 1° settembre 1990 Giuseppe Lombardo Alias "Cavallino" sicario della cosca Rosmini, insieme ai suoi complici commise uno dei suoi numerosi omicidi, ponendo fine alla vita di un ragazzo che davanti a se aveva ancora un'intera esistenza da trascorrere e chissà cosa gli avrebbe riservato il futuro. "E' UNA COSA GROSSA UCCIDERE UN ESSERE UMANO, GLI LEVI TUTTO QUELLO CHE HA E CHE SPERAVA DI AVERE. (Recitava Clint Eastwood nel film "Gli spietati) Ma Cavallino che dopo il suo arresto divenne pentito e collaboratore di giustizia, quella sera non ebbe scrupolo a premere il grilletto contro un ragazzo di 16 anni, fu proprio spietato e insieme a lui lo furono anche i suoi complici! Gli Spietati della cosca Rosmini. "il Zappa era morto". I sicari potevano ritenersi soddisfatti, la loro missione di morte era stata portata a termine.

Questo tratto di strada in salita Domenico Catalano il ragazzo di 16 anni, insieme al nipote di qualche anno più piccolo, quella sera a bordo del suo Piaggio si, lo percorse lentamente. I due giovani dai Poliziotti appostati furono sentiti ridere e parlare a voce alta. Domenico certamente non pensava che stava andando incontro alla morte.
Dopo l'ospedale Vasco e Braccio Di Ferro ritornarono
verso Archi Cep. La Tipo procedeva lentamente lungo le strade della periferia
nord che adesso sembravano nere e oscure, forse perché erano state ancora
avvolte dal velo della morte. Non c'era
più fretta, ormai tutto si era compiuto.
Sul luogo del mortale agguato il posto gremiva ora di forze di Polizia.
Tanti curiosi e pochi addetti ai rilievi. Era del tutto inutile rimanere in
mezzo a tutta quella gente che azzardava ogni tipo d'ipotesi relativo al fatto
di sangue. Vasco è Braccio di Ferro risalirono in macchina e fecero rientro in
Questura. Controllarono se ci fossero state ulteriori conversazioni ma tutto taceva. Il silenzio della morte. La
mezzanotte era passata da poco ed essendo già domenica avrebbero riposato rimanendo a
casa. Durante la giornata festiva
Braccio di Ferro non fece altro che rimproverarsi di non aver acconsentito a
fermare li motorino con i due giovani a bordo! Forse gli avrebbero salvato la
vita oppure solamente rinviato di qualche giorno la triste sorte. Questo
rimorso lo perseguitò per molto tempo se non addirittura anni. Nessuno
può saperlo perché ogni individuo ha un proprio destino che è già stato scritto
sin dal primo giorno in cui viene al mondo. In quell'anno non ci fu tempo per i
pensieri tristi. L'indagine doveva proseguire e le attività investigative si
alternavano giorno dopo giorno. Lunedì 3
settembre 1990, Braccio di Ferro rientrò
in Ufficio alla Squadra Mobile per una nuova settimana di lavoro con la
speranza che per un po' di tempo la scia di sangue si sarebbe interrotta. . A
Palermo quel giorno si commemorava l'assassinio di Carlo Alberto DALLA CHIESA,
della moglie e dell'Agente di scorta, avvenuto il 3 settembre del 1982. Appena fece il suo ingresso nel corridoio
della Mobile gli viene incontro un
Ispettore, uno di quelli vecchi, uno di quelli che contavano, uno con una certa
importanza investigativa e professionale, insomma uno pesante. Forse l'incontro
fu casuale, forse costui lo stava
aspettando. Fatto sta che verbalmente lo
assalì immediatamente. Prese a rimproverarlo in malo modo per essersi permesso
di utilizzare la sera di sabato la "sua
fiat tipo bianca utilizzata da lui solo" e di averne rovinato la tappezzeria
del sedile posteriore tutta macchiata di sangue. Braccio di Ferro cercò di
giustificarsi rispondendo che la situazione in quel momento rivestiva carattere
d'urgenza, che non c'era stato il tempo di chiedere autorizzazioni per
l'utilizzo dell'autovettura e che aver trasportato loro (Braccio di Ferro e
Vasco), il ferito in ospedale, senza
aspettare l'arrivo dell'ambulanza, forse
aveva salvato la vita al quindicenne Natale COZZUPOLI, impendendo che morisse dissanguato. Fu del tutto
inutile, Braccio di Ferro non ebbe modo di fornire queste spiegazioni perché
"l'Ispettore pesante" gli voltò le spalle allontanandosi e brontolando qualcosa
circa possibili provvedimenti disciplinari. Insomma in altre circostanze si
sarebbe potuto dire:- il danno oltre la beffa, ma trattandosi di un omicidio
così efferato, l'Agente che era stato alla D.I.G.O.S. Sezione Antiterrorismo di
sinistra della Capitale, ove aveva
lavorato con gente veramente con le "palle", si chiese:- Ma dove sono capitato,
con chi ho a che fare. Per fortuna quel caso rimase unico ed isolato e con il
passare dei mesi e degli anni, Braccio di Ferro si rese conto che anche alla
Squadra Mobile di Reggio Calabria c'erano persone che sapevano fare molto bene
il loro mestiere ed erano in tanti. Mentre insieme a Vasco stavano per recarsi
presso la saletta intercettazioni, sul loro cammino incrociarono il Bracco. Il
Capo si soffermò un attimo squadrandoli dalla testa ai piedi, poi accennando un
lieve sorriso esclamò:- ancora qua
state, andate a lavorare. E quello fu il massimo dell'allegria che gli
videro esprimere.