Quella voce misteriosa nella luce dell’alba...

26.05.2023

Voglio precisare una cosa. Parlare di certi argomenti, non è mania o voglia di protagonismo oppure desiderio di apparire, assolutamente no. E' solo il giusto intento di ricordare e non dimenticare. Tale proposito cerco di trasmetterlo a chi ha dimenticato questi avvenimenti, a chi si comportò bene e anche a chi invece si comportò male. Anche a chi non li conosce affatto. Come più volte mi sono ritrovato ad affermare attraverso le pubblicazioni sul mio BLOG, io non sono un giornalista e nemmeno uno scrittore, tanto meno pretendo di esserlo perché non lo sono e non ci voglio diventare, con tutto il rispetto per questa categoria. Questo concetto è bene ribadirlo ogni qual volta pubblico una storia. Io sono "colui che sono". No tranquilli non aspiro a questo, anche se una settimana da Dio mi farebbe comodo. Io sono semplicemente un modesto narratore e commentatore che in alcune vicende di storia criminale di questa città ha avuto un piccolo ruolo minore ma che ne è stato testimone oculare di brevi passaggi come nel caso di questo racconto vero e reale dal titolo

Quella voce misteriosa nella luce dell'alba

CAPITO PRIMO – L'INIZIO

Era il 1994, l'anno lo ricordo benissimo, non ricordo il mese ed il giorno e sinceramente non sono nemmeno sicuro da quale operazione di Polizia, scaturì l'ordine di cattura spiccato nei confronti dei fratelli Carmine e Giuseppe DE STEFANO rampolli del defunto boss don Paolino DE STEFANO, indiscusso capo cosca ucciso molti anni prima proprio davanti agli occhi del figlio Giuseppe.

Ricordo invece che il mandato di arresto parti da una Procura della Repubblica della Lombardia, mi sembra da quella di Milano. Questa attività investigativa forse la prima trance dell'operazione WALL STREET (di cui non sono sicuro) che interessò la cosca di Franco COCO TROVATO operante da anni nella regione lombarda, interessò anche i fratelli DE STEFANO di Contrada Armacà ad Archi. (in riferimento all'operazione Wall Street, non ho trovato dati della conferma che l'ordine di cattura per i fratelli Carmine e Giuseppe DE STEFANO dipese da questa operazione! Di sicuro c'è il fatto che arrivò l'ordine di carcerazione e che il 3 ottobre 1994 il solo Carmine iniziò la sua latitanza) Mi sfugge il particolare se nel 1994 , Carmine DE STEFANO fosse già legato sentimentalmente con Giusy COCO TROVATO figlia di Franco! Fatto sta invece che accertata invece lo era da anni da parte della Magistratura, la consolidata alleanza esistente tra le due cosche di ndrangheta, appunto i DE STEFANO ed I COCO TROVATO, alleanza che poi sfociò nel matrimonio tra lo stesso Carmine e Giusy, da cui nacque un figlio. Comunque dal nord arrivò alla Criminalpol di Reggio Calabria l'ordine di arresto immediato per i due rampolli di don Paolo. Come avveniva spesso in questi casi, le forze messe in campo per lo svolgimento dell'operazione, coinvolsero anche personale della Squadra Mobile. Insomma chi non ha dimenticato come era strutturata la vecchia Questura di Santa Caterina ricorderà sicuramente che la Criminalpol si trovava nei piani alti mentre la Squadra Mobile occupava i piani bassi. Una mattina all'alba con la mia solita chiamiamola fortuna, fui inserito nella squadra che doveva eseguire l'arresto dei due fratelli. Stava facendo giorno quando bussammo alla porta della villa dei DE STEFANO che in quegli anni aveva conosciuto decine e decine di visite da parte delle Forze di Polizia. Fummo accolti dalla Signora Rosetta ERRIGO vedova del defunto boss che si dimostro cordiale e gentile. Era una donna di classe senza alcuna ombra di dubbio ed era certamente ormai abituata a quelle visite mattutine per cui non ci faceva più caso. Anzi se non ricordo male ci offrì pure il caffe. In quel momento in casa non c'erano i fratelli Carmine e Giuseppe destinatari dell'ordine di cattura e sinceramente ormai a distanza di molti anni, non mi ricordo nemmeno della presenza degli altri figli della Signora Rosetta, ovvero Giorgia e Dimitri.

Suo cognato Orazione DE STEFANO

Ricordo invece perfettamente che i comandanti della mia squadra presenti in loco, per ovvi motivi di P.G. non rivelarono il vero motivo della nostro presenza, quindi la Signora Rosetta si convinse credo che si trattasse di una delle solite perquisizioni, anche perché in quel periodo  era già latitante, per cui sicuramente pensò ad un controllo mirato alla cattura del cognato Orazio. Insomma andammo via ed io mentre uscimmo, notai parcheggiata davanti casa una nissan micra di cui non ricordo il colore ma che in quel momento come mia abitudine focalizzai e memorizzai immediatamente la targa. Ciò era una particolarità che avevo assimilato nei miei anni di servizio presso la DIGOS di Roma , ma subito dopo giunsi alla conclusione che quel dettaglio non mi sarebbe certo servito in quanto in quel periodo io ero alla sezione narcotici della S.M. e che l'arresto dei fratelli DE SEFANO fosse affare della Criminalpol. Durante il ritorno i nostri superiori formularono diverse ipotesi circa l'assenza dei due fratelli a casa a quell'ora presto del giorno! Sapevano del mandato di cattura? Una talpa aveva spifferato tutto? Insomma la storia si prestava a diverse interpretazioni. Se ancora non ricordo male una volta in Questura lo stesso personale della Criminalpol s'incarico di diramare le ricerche. Noi riprendemmo il normale servizio di routine alla narcotici. Quella stessa mattina, saranno state le 10.00 le 11.00, io ed il Collega M.M. ci stavamo accingendo ad uscire per un servizio. La nostra fiat uno auto civetta era parcheggiata in prossimità del tabaccaio sito davanti l'ingresso della stessa Questura su Via Santa Caterina D'Alessandria. Vedemmo arrivare una nissan micra ed io automaticamente guardai la targa e riconobbi la stessa macchina quale quella parcheggiata fuori casa DE STEFANO quella mattina. Alzai gli occhi e nel guidatore intravidi immediatamente lo stesso Giuseppe DE STEFANO. Nel frattempo anche il collega notò la scena ed il ricercato che ancora non sapeva di essere ricercato. Stavamo per salire velocemente in macchina e seguire subito la micra per fermarla, quando la stessa auto si fermò proprio davanti al tabaccaio e Giuseppe DE STEFANO scese ed entrò per comprarsi le sigarette. Tu blocca il passeggero sussurrai al collega M.M. io blocco lui come esce. Infatti così avvenne. Tesserino alla mano fermai il Giuseppe DE STEFANO e gli chiesi un documento. Lui rimase alquanto sorpreso ma, non ebbe alcuna difficoltà a favorirmi la patente chiedendomi se ci fosse qualche problema. Niente si tratta di un semplice controllo, se vuole favorire con me in Questura, risposi io! Con i due fermati al seguito attraversammo la strada e facemmo il nostro ingresso nell'edificio. In quel preciso momento dall'ascensore uscì proprio l'Ispettore della Criminalpol F.G. responsabile incaricato di seguire gli esiti e gli sviluppi a Reggio Calabria dell'operazione partita da Milano e appunto degli arresti dei due DE STEFANO. Alla vista di Giuseppe non credette ai suoi occhi. Aveva perso ormai le speranze e lo considerava a pieno titolo un latitante. Mancava il fratello Carmine però, ma in ogni caso uno era meglio che niente. Nel volgere di una manciata di secondi, si consumò in un edificio di Polizia il più maldestro scippo della storia della Polizia Giudiziaria. Di fatto il fermo era stato effettuato da due Agenti della Squadra Mobile, ovvero da me e dal collega M.M. e per competenza i due dovevano essere condotti presso i nostri Uffici. Ma l'Ispettore con una velocità incredibile prese per il braccio Giuseppe DE STEFANO e l'altro fermato di cui ancora non conoscevamo il nome, li caricò in ascensore e partì diretto ai piani alti ove erano ubicati gli Uffici della Criminalpol. Io ed il collega M.M. vedemmo chiudersi le porte senza nemmeno avere il tempo di aprire bocca. Sconsolati e delusi di tale comportamento da parte di un superiore, a piedi salimmo presso l'Ufficio della S.M. con il proposito di riferire subito l'accaduto. Ma la scena nell'androne dell'ingresso non era passata inosservata ed una gola profonda ci aveva preceduti riferendo l'accaduto ai nostri diretti superiori, ma riferendolo a modo suo nel senso che ci aveva dipinti come degli incapaci. Infatti superata la porta del corridoio fummo letteralmente assaliti da Ispettori funzionari compreso pure il Vice Dirigente della Squadra Mobile! Mancò poco che anche il civile addetto alle pulizie ci desse addosso. Ebbi solo la possibilità di affermare che l'Ispettore della Criminalpol aveva agito con la velocità di uno scippatore napoletano abituato a sfuggire alle pattuglie dei "Falchi" e che per fermarlo gli avrei dovuto tirare le manette in testa. ( L'ostentazione di un ruolo superiore di qualifica, un soggetto più alto in grado, verso il subalterno lo può mettere in atto senza nemmeno bisogno di parlare. A volte basta l'atteggiamento e lo sguardo per far capire chi comanda e chi decide. Di fatto quel giorno nell'androne accadde tutto questo. A buon intenditore poche parole e chi vuol capire capisca). Comunque, l'episodio scatenò immediatamente le reazioni dei superiori. Si sfiorò un incidente diplomatico che forse avrebbe potuto portare ad uno scontro armato tra le due fazioni istituzionali. Le telefonate tra i vertici si susseguirono sino a quando non si raggiunse un accordo. Io ed il collega M.M. accompagnati dall'Ispettore della S.M. G. A. ci recammo presso la Criminalpol, anche noi avremmo firmato il verbale di arresto. Giunti nell'ufficio, al Giuseppe De STEFANO non era ancora stato riferito che si trovava in stato di arresto a seguito del mandato di cattura spiccato nei suoi confronti. Cosa avevano pensato i vertici della Criminalpol! Avevano avuto la brillante idea di non comunicare al DE STEFANO Giuseppe del mandato a suo carico, convocare anche il fratello Carmine che si supponeva fosse a casa con una banale scusa e quindi arrestare anche lui. Fatto sta però che questa idea fu subito scartata. Ora a tal proposito anche a distanza di decenni non voglio commentare tanto meno aggiungere qualcosa. Ubi maior minor cessat. Io all'epoca ero un semplice Assistente senza nemmeno la qualifica di Ufficiale di P.G. per cui mi venne in mente ciò che mi ripeteva sempre il comandante della mia squadra quando prestavo servizio alla DIGOS di Roma. Mi diceva:- non sei pagato per pensare" Ed io quel giorno dell'arresto di Giuseppe Peppe DE STEFANO, non pensai e tanto meno parlai. Comunicato al DE STEFANo che veniva arrestato, mentre anche io ed il collega M.M. firmavamo il verbale, ricordo che Peppe DE STEFANO mi guardò fisso negli occhi ed esclamò:- è proprio vero che il vizio del fumo fa male. Gli risposi:- non sempre fa male, noi avevamo la macchina pronta e l'avremmo bloccata qualche centinaio di metri più avanti. La persona che era stata fermata in sua compagnia e che accertammo essere un noto pregiudicato di Archi a nome P.G. fu subito rilasciata in quanto non esistevano i presupposti per trattenerla. Personalmente non me ne fregava niente della mia firma sul verbale, ne avrei fatto volentieri a meno. Non trovavo niente di eccezionale o meritevole in quell'arresto. Ero solo un poliziotto che aveva fermato un soggetto che doveva essere arrestato ma che ancora non lo sapeva. Avevo svolto solo il mio lavoro. La giornata lavorativa si concluse così quel giorno. Peppe DE STEFANO dietro le sbarre e suo fratello Carmine immediatamente avvisato, "uccel di bosco", iniziando così un lungo periodo di latitanza durata 7 anni.

CAPITOLO 2 IL PERIODO DI TRANSIZIONE

Dal giorno dopo l'arresto del secondogenito del defunto boss di Archi, io prestando servizio alla Sezione Narcotici smisi completamente d'interessarmi della cosca DE STEFANO. I giorni passavano scanditi da servizi di routine a volte anche monotoni e dall'avvicendamento di funzionari. Diciamo che fu un periodo monotono, sino a quando la sezione che di fatto si interessava di narcotici e allo stesso tempo Antimafia, venne divisa in due ed io con la mia solita fortuna andai a finire nell'Antimafia quando in tutta franchezza avrei preferito rimanere alla narcotici anche perché pensavo fosse una tipologia di servizio che più mi si adattava! Ma non fu così, fui destinato alla Sezione antimafia con alla guida il Dottor N.P. Non me ne voglia il Dottor N.P. ma a distanza di anni affermo che all'epoca l'ho sempre considerato una figura dinamica, controversa sotto alcuni aspetti non professionali sul quale nulla da eccepire, ma fatto sta che erano più le volte che ci prendevamo di brutto per motivi di lavoro, per poi dieci minuti dopo andare a prendere il caffè insieme. In sostanza il caro Dottor N.P. quando aveva rogne o grattacapi di servizio le scaricava direttamente a me. Un giorno gli chiesi del perché ogni qual volta si presentava un problema, lui lo affidasse proprio a me! Mi rispose:- Tu hai la capacità di adattarti ad ogni tipo di situazione. E grazie a questa capacità in quel lungo periodo svolsi anche numerosi servizi di tutela alla congiunta di un noto magistrato. Ma anche dalla monotonia di questo servizio ne trassi un personale vantaggio, quello d'imparare a conoscere gran parte dei supermercati cittadini, prezzi dei prodotti in vendita e le ubicazioni di parrucchieri estetiste etc etc. Per fortuna dopo qualche anno smisi di frequentare questi punti vendita, io che di fatto odiavo andare a fare la spesa.

Il sogno o chiamiamolo desiderio di un poliziotto operativo è sempre stato il servizio mirato alla cattura dei latitanti. Personalmente lo avevo sperimentato negli anni romani dove davamo la caccia ai terroristi la cui maggior parte aveva trovato rifugio nell'accogliente e vicina Francia che li riceveva a braccia aperte! Anche io come tanti altri ambivo a far parte di questa squadra d'èlite ma lo spostamento si presentava abbastanza difficile se non addirittura impossibile. Dopo un lungo tempo d'attesa grazie all'interessamento di un "Ispettore "messicano", riuscì finalmente ad essere trasferito alla Sezione Catturanti. guidata allora dal Dottor M.G. Era il 1998 e il mio arrivo alla "catturandi" coincise anche con il trasferimento della Questura presso la nuova ed attuale sede di Corso Garibaldi. Furono anni difficili ma intensi! Lato positivo anche il fatto che ero ritornato a prestare servizio insieme al mio vecchio compagno e collega di scorribande durante l'operazione Santa Barbara e poi nella zona Joinica alla ricerca del Giuseppe IERINO' alias "manigghia", A.M. altrimenti conosciuto come VASCO. Ma non erano più quei tempi, erano cambiati le condizioni e soprattutto i superiori. Praticamente alla Sezione Catturandi eravamo sempre in servizio. Si usciva alle 21.00 di sera per le perquisizioni e ricerca latitanti e si faceva ritorno a casa alle 04.00 di mattina. Due ore di sonno una doccia e poi alle 08.00 di nuovo in Ufficio. Non che tale attività mi stancasse particolarmente, in quanto questa tipologia di orario di lavoro l'avevo sperimentata nel corso degli anni precedenti. Quello che maggiormente influì negativamente sul mio carattere, fu il comportamento e l'atteggiamento non sempre corretto che si manifestò spesso nel contesto della Sezione. Fortunatamente il Dottor M.G. uomo veramente tutto d'un pezzo e sempre in prima linea davanti a tutti, fu sempre in grado di appianare discussioni screzi e controversie con polso duro e fermo. Di lui mi era sempre piaciuta una sua particolarità! Non era il tipo che come spesso accadeva con altri funzionari, diceva, armiamoci e partite. M.G. diceva espressamente:- armiamoci e partiamo, ed era sempre il primo davanti a tutti e di questo gli si deve dare sempre merito. Ma non tutto dura per sempre ed un bel giorno il Dottor M.G. trasferito, partì per altri lidi. Dal lontano settentrione seppur di origine meridionale giunse alla guida della catturandi e anche per ricoprire il ruolo di Vice Dirigente della squadra Mobile, il Dottor F.M. da subito ebbi come la sensazione che quel ruolo e quel posto gli stava stretto. Si notava che era ambizioso e che ambiva a ben altro, ad altri incarichi nei ruoli dirigenziali. Si Trovava a Reggio Calabria di passaggio perché la sede reggina da sempre era stata considerata un possibile trampolino di lancio. Dove potevi far carriera oppure bruciarti e romperti la testa cadendo nella piscina senz'acqua. (d'altronde è anche logico per un Funzionario di Polizia aspirare all'avanzamento a ruolo dirigenti). Noi tutti abituati al comportamento alla mano sempre usato dal Dottor M. G. ci trovammo spiazzati nei riguardi del Dottor F.M. Era chiaro che manteneva le distanze con il personale. Forse lo faceva perché ancora non ci conosceva, fatto sta che in una squadra che svolge mansioni di Polizia Giudiziaria, un atteggiamento distanziale con gli uomini non va bene. Con questo allora Funzionario, (oggi lo vedo spesso in TV, ricopre un ruolo importante al Ministero e sono contento per lui), dicevo con F.M. un bel giorno rischiai di brutto. Una mattina mi convocò nel suo ufficio facendomi presente che nel mio turno della sera prima, non avevo prestato attenzione ad una intercettazione ambientale posta nella casa della moglie di un ricercato. L'Ispettore responsabile dell'attività di ricerca del latitante aveva appurato tramite il collega del turno di quella mattina che la stessa moglie del latitante la sera prima con un vassoio di pasticcini era partita alla volta di Milano o altra località del nord, adesso non ricordo bene per congiungersi con il marito "Latino" (latino era il termine da noi utilizzato per indicare un latitante). Il Dottor F.M. nei miei confronti in quei momenti si lascio andare in considerazioni per niente apprezzabili circa la mia professionalità la mia serietà sul lavoro, aggiungendo anche il termine incapacità da cui sarebbero scaturiti seri provvedimenti disciplinari ipotizzando anche possibili conseguenze penali per quella mia mancanza. Insomma si stava preparando a silurarmi. Io mi mantenni calmo chiesi solamente il permesso di recarmi in sala intercettazioni per riascoltare la conversazione in questione. E così fu. La riascoltai quella lunga conversazione, con molta attenzione e più volte di seguito, ma le mie orecchie non sentirono mai le parole vassoio di pasticcini, partenza per Milano o altro luogo, tanto meno frasi o parole che potevano far intendere che la moglie del latitante fosse partita per ignota destinazione per raggiungere il marito. Sicuro al cento per cento, ritornai nella stanza del Dottor F.M. Entrai senza bussare e senza chiedere permesso, lasciando la porta aperta. Esordii esclamando:- Lei ha ascoltato la conversazione oppure si è soltanto fidato di quanto le è stato riferito?. Il Dottor F.M perplesso rispose :-no non l'ho ascoltata! Io continuai:- Ho più volte ascoltato la conversazione e non si parla ne di partenze per Milano o per il nord in generale de di congiungimento con il marito e per quando riguarda il vassoio di pasticcini, sono ancora al bar. detto questo salutandolo gli voltai le spalle e andai via. Qualche ora dopo un collega mi riferì di strilla provenienti dalla sua stanza! Ma la cosa non m'interessò- Ricordo solamente che nell'uscire dalla stanza del Dottor F.M. l'ufficio accanto all'epoca era occupato dal Dottor V.L. che per un breve periodo negli anni precedenti era stato un mio funzionario. Ho voluto citare questo passaggio per sottolineare che ogni ambiente di lavoro compreso quello delle Forze di Polizia non è immune a comportamenti ed azioni non certo consoni al vivere civile nel rispetto delle persone e dei colleghi. Insomma screzi gelosie antipatie simpatie interessi, gravitano anche in quei posti.

Naturalmente dopo quel giorno aumentai notevolmente il mio livello di osservazione, nel senso che mi guardai maggiormente le spalle da un nemico invisibile, insomma giusto per citare il titolo di un film di guerra, "il nemico alle porte".

E venne anche il giorno che il "distanzievole" Dottor F.M. (lo so che è un termine non corretto italianamente parlando, ma lo utilizzo giusto per far capire il carattere dello stesso), partì trasferito anche lui per altri lidi Quindi si prospettava un avvicendamento.

Già da qualche tempo circolava la voce che ad occupare il posto lasciato vuoto dall'ormai lontano Dottor F.M. sarebbe giunto l'esimio Dottor R.P.

Fu allora che prima ancora del suo arrivo io subii la stessa sorte che subivano le navi mercantili americane che durante la seconda guerra mondiale quando trasportavano rifornimenti verso l'Europa. I Sottomarini tedeschi i famosi U-BOOT le siluravano affondandole! E appunto questo accadde a me cioè fui silurato, cacciato via dalla sezione Catturandi o per usare un termine più elegante fui spostato per esigenze d'Ufficio: Vi ricordate del Dottor V.L. che tempo prima aveva ascoltato completamene il richiamo che mi era stato fatto dal caro Dottor F.M. ? Ebbene il Dottor V.L. fu destinato a dirigere la S.C.O. ovvero Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile di Reggio Calabria. Durante la fase del mio siluramento quando ormai ero stato colpito e stavo inesorabilmente affondando, Il Dottor V,L. mi convocò nel suo Ufficio e mi comunicò senza mezzi termini che mi aveva richiesto nella S.C.O. e che di fatto ero stato trasferito. Ora non so se questa sua richiesta di trasferimento fu dettata perché in fondo credeva nelle mie capacità professionali o solo perché mosso a pietà e vedendomi affondare, volle buttarmi un salvagente per la mia salvezza! Non l'ho mai saputo, tanto meno glielo chiesi. Ormai ero entrato nell'ottica del "l'importante è portare lo stipendio a casa anche se si deve fare il piantone", senza nulla togliere o mancare di rispetto a tutti quei colleghi che svolgono servizio di piantonamento. Comunque erano i primi mesi del 2001. All'epoca la S.C.O. era strutturata in tre settori, Jonico Tirrenico e Centro, quindi 1 a 0 e palla (la palla ero io) al CENTRO, che fui destinato a quest'ultimo settore. Devo ammettere nella più completa sincerità che vi trovai un'aria nuova, più pulita e fresca, finalmente riuscivo a respirare. Tutti colleghi giovani e con tanta voglia di lavorare. Se non erro forse io ero il più anziano d'età e di servizio, ma questo non importa, l'importante era che avevo intrapreso un nuovo servizio e principalmente da subito ebbi completa autonomia e libertà di movimento. Ah scordavo un particolare molto rilevante! Finalmente smisi di guardarmi le spalle e ciò significava tanto.

CAPITOLO 3 - MISSIONE IMPOSSIBILE

Alcune settimane per ambientarmi ed una mattina il Dottor V,L. capo della S.C.O. mi convocò nel suo ufficio unitamente ad un collega a cui ero stato affiancato, più giovane di me di per età anni di servizio e qualifica. Ma in comune avevamo pressappoco la stessa identica stazza. Non sapevo ancora che nei mesi successivi lui sarebbe diventato la mia ombra ed io di conseguenza la sua di ombra. Peccato che io non avevo certo un qualcosa di aria sacerdotale altrimenti ci avrebbero potuto soprannominare Don Camillo e Peppone. Il Dottor V.L. senza usare mezze parole mi disse:- Nino, mi devi prendere Carmine DE STEFANO. "Sti cazzi" pensai io in quel momento. Se ciò mi fosse stato detto mentre mangiavo, sicuramente il boccone mi sarebbe andato di traverso. Mi chiesi nella mia mente, perché aveva convocato me d il collega G.C. anziché rivolgersi ai due Ispettori rispettivamente comandante e vice comandante del settore centro e lo feci presente. V.L. mi rispose semplicemente che i due superiori erano impegnati in una complessa attività investigativa molto importante e riservata per cui io ed il collega G.C. avremmo avuto carta bianca e completa autonomia, ma dovevamo prendergli Carmine DE STEFANO latitante da ottobre del 1994. Non me ne voglia il Dottor V.L. ma quando disse:- avete carta bianca, io gli avrei risposto volentieri:- e ci si pulisca il culo, ricordando quella famosa scena del film di Totò i due Colonnelli! Gli avrei voluto dire:- ma come cavolo facciamo io ed il Peppone qui presente a catturare Carmine DE STEFANO, visto che per anni ci aveva lavorato la Criminalpol reggina senza ottenere alcun risultato? Ma rimasi zitto. Una particolarità aveva il Dottor V.L. quando parlava con qualcuno non lo guardava mai negli occhi. Ciò me lo aveva fatto notare anni prima un vecchio Ispettore della Squadra Mobile appartenente alla vecchia guardia, aggiungendo:- Nino, io di chi non mi guarda negli occhi quando parla con me non mi fido. Comunque quel giorno i convocati Don Camillo e Peppone non ebbero alcuna scelta o alternativa. Erano ordini ed andavano eseguiti. L'incarico affidato, non ritardò a spandersi in tutta la Sezione e persino a giungere negli uffici della Sezione che da sempre era stata preposta alla cattura dei latitanti. "Come una freccia dall'altro scocca, volò veloce di bocca in bocca", cantava d Fabrizio De Andrè. Beh più o meno, comunque ciò avvenne in seguito all'incarico operativo ricevuto. Allora si scatenò un piccolo putiferio e alcune proteste in merito alle precise competenze di ogni singola Sezione. Quando finalmente fu specificato che l'attività investigativa che stava per avere inizio relativa alla ricerca e cattura del sopra citato latitante, era da inquadrare in uno specifico contesto di investigazioni inerenti la criminalità organizzata ed in tal caso la cosca DE STEFANO, tutto ebbe termine, per cui "zitti e mosca" aggiunse qualcuno invitandoli ad andare a protestare in alto loco oppure a rivolgersi direttamente al Capo della S.M. Naturalmente di quella Sezione, nessuno si prese la briga di andare a bussare alla porta dell'Ufficio del Dirigente per lamentarsi! Fu allora che iniziarono le battutine e le frecciatine nei miei confronti. Frecciatine e battutine che puntualmente mi venivano riferite da miei informatori interni accompagnate anche dai nomi di chi, queste frecciatine le lanciava. Un giorno mi fu riferito che un tizio di cui adesso mi sfugge il nome (credetemi ricordo perfettamente l'episodio ma non ricordo chi scoccò la frecciatina! Evidentemente era un soggetto di cui io avevo scarsa considerazione e sicuramente per questo mi sono dimenticato nome e volto).

Comunque questo ormai ignoto personaggio, affermò che non saremmo mai e poi mai riuscire a catturare Carmine DE STEFANO perché non avevamo cavalli di battaglia, (il cavallo di battaglia era ovviamente riferito a me e alle mie capacità). Rimasi zitto senza ribattere in alcun modo con nessuno. Presi solo atto di quanto mi era stato riferito e decisi di blindare l'attività che stava per iniziare in quanto eravamo all'inizio ed una ottima partenza era fondamentale per poter giungere al traguardo. Erano più di 10 anni che ormai svolgevo servizio presso la squadra Mobile di Reggio Calabria e ne avevo visto di cotte e di crude, ma principalmente conoscevo l'ambiente in cui giornalmente ci passavo molte ore del giorno e spesso anche della notte. In qualsiasi habitat di lavoro è normale che si verifichino pettegolezzi sforbiciate polemiche in generale. Fa parte della natura dell'uomo criticare elogiare ma soprattutto sparlare. Appunto per questo io ormai conoscevo bene chi mi stava intorno e quando volevo che una notizia fasulla trapelasse in giro, sapevo bene davanti a chi farmela scappare, sicuro che da li a poco sarebbe stata di dominio pubblico. Ma torniamo adesso all'argomento principale, ovvero come riuscimmo a catturare Carmine DE STEFANO. Di comune accordo decidemmo di non basarci affatto sugli accertamenti effettuati negli anni precedenti dal personale che aveva lavorato sul caso. Era importante non lasciarci influenzare da dati che nel corso di quel lungo tempo, sicuramente erano cambiati, per cui aprimmo un fascicolo nuovo a carico del DE STEFANO Carmine effettuando una serie di sopralluoghi atti ad individuare i punti che si potevano prestare ad eventuali appostamenti. Compito non certo facile vista la zona in cui è situata l'abitazione dei DE STEFANO in CTD Armacà. Decidemmo inoltre di cominciare ad attenzionare il fratello minore del latitante ovvero Dimitri DE STEFANO per scoprire chi fossero i suoi amici e contatti.

Dimitri DE STEFANO

Quando iniziammo l'attività di ricerca, Giuseppe era in carcere ed al momento, l'unico soggetto che messo sotto osservazione ci poteva condurre su qualche pista era appunto Dimitri. Naturalmente con il passare dei giorni e con la raccolta di elementi, fu anche avviato un servizio d'intercettazione. Appostamenti e pedinamenti si susseguirono nelle ore più svariate del giorno e anche nelle ore serali. Durante la notte invece ne approfittavamo per effettuare sopralluoghi, in quanto minore era il rischio di essere visti. I pochi pedinamenti del soggetto Dimitri iniziarono con grande cautela, anche perché lo stesso faceva molto attenzione nei suoi movimenti. Ovviamente i primi mesi furono molto difficili. Il servizio andava a rilento e inoltre dovevamo anche sopportare le battutacce delle malelingue che prima di noi avevano lavorato senza alcun risultato, sulla cattura del latitante! Frasi del tipo " ma dove devono andare", "non è cazzo loro prenderlo" "faranno un buco nell'acqua", si susseguirono ripetutamente. Ma noi tutti del Settore Centro non ci facevamo caso e proseguimmo tirando dritto senza badarci, anzi ad essere sincero, tutto quel sarcasmo sparso intorno a noi, ci fu da sprono, per continuare ed andare avanti nel servizio. Dovevamo dimostrare a tutti quei leccaculo incompetenti, che si sarebbero consumati dall'invidia e che alla fine ce l'avremmo fatta, avremmo assicurato alla giustizia il pericoloso Carmine DE STEFANO. MI venne l'idea di rispolverare il vecchio metodo di uscire in divisa e con auto polizia con colori d'istituto, fingendo di essere una normale volante e non personale della Squadra Mobile. Memore del ricordo che in passato questo metodo aveva funzionato durante l'operazione Santa Barbara e nella zona jonica durante la ricerca di Peppe "u manigghia " IERINO', dopo aver esposto il proposito al Dottor V.L. costui acconsentì. Sarà una mia impressione forse anzi senz'altro sbagliata, ma in quei mesi di attività, io più volte quando mi trovai a discutere del caso con lo stesso Dottor V:L. ebbi come l'impressione che lo stesso Dirigente della S.C.O., non ci credesse molto sulla riuscita del servizio solo che andava fatto in ogni caso. Anche perché, di fatto, giornalmente a lavorare eravamo solo in due cioè io e Peppone. Il sesto del settore venne impegnato in altre attività d' indagine che il gruppo aveva in corso. Ciò naturalmente mi costrinse ad avvalermi di altro personale della Sezione che solitamente veniva impiegato in altre mansioni. Ma queste problematiche non mi scoraggiarono affatto. Sapevo infatti che al presentarsi di novità e di risultati positivi, avremmo ricevuto la giusta attenzione ed il dovuto aiuto. Nel frattempo io ed il Peppone iniziammo ad uscire in divisa battendo l'intera zona di Archi e luoghi vicini. Ci comportammo come una comune volante, facendo controlli in svariati in diversi punti della zona in questione e in diversi orari. Ci accorgemmo che il metodo funzionava ancora perché in qualche occasione lo stesso Dimitri ci passò molto vicino senza nemmeno degnarci di uno sguardo. Una volta perfino lo fermammo simulando un normale controllo di Polizia. Facemmo finta di non sapere chi fosse. Utilizzando questo stratagemma riuscimmo così a scoprire chi erano i soggetti di Archi e di altri luoghi a lui vicino e chi potevano essere coloro che potevano aiutarlo eventualmente per coprire la latitanza del fratello. Individuammo persino chi solitamente erano solo dei conoscenti o semplici amici. Era chiaro che Dimitri avesse molte conoscenze e contatti anche nella Reggio bene, ma naturalmente solo di pochi si poteva fidare e quei pochi tra i tanti, ancora non eravamo riusciti ad individuarli. Nel frattempo il Fratello Giuseppe uscì dalla galera e per qualche tempo dimorò nella sua abitazione di CTD Armacà. Se non ricordo male giornalmente doveva recarsi verso la Stazione CC di Archi per la firma e quindi uno della sua cerchia di Archi M.D.C. fu incaricato di andare a prenderlo e riportarlo a casa. Non ricordo quanto durò la permanenza del DE STEFANO Giuseppe a casa della madre! Fatto sta che tempo dopo fu inviato a soggiornare nella vicina Messina. Nel frattempo io ed Peppone continuammo il servizio, alternandoci in abiti civili nelle ore notturne ed in divisa durante il giorno. Nella Piazzetta di Archi Cep, come al solito a quel tempo, stazionavano molte vedette pronte a segnalare qualsiasi cosa anomala. Ciò nonostante iniziammo a ridurre il numero dei contatti di Dimitri e, a rilevare che lui insieme ai pochi prescelti, era solito fermarsi nel retro di un negozio denominato "Eurogel" sulla Statale di Archi e situato poco prima del Torrente Scaccioti. ( Il negozio in questione era a nome di tale Gaetano Campolo, uno dei pochi prescelti, ma su di lui avremo modo in seguito di approfondire la sua figura). Un giorno, ancora prima dell'alba, piazzammo una telecamera che ci fornì un' ampia visuale del posto, inoltre una sera approfittando del fatto che Dimitri lasciando la macchina a Villa san Giovanni traghettò a piedi per andare a trovare il fratello Giuseppe a Messina, personale di una ditta specializzata di cui ci servivamo, gli aprì la macchina e installò una microspia che ci permetteva di ascoltare le sue conversazioni all'interno dell'autovettura ed un GPS che ci consentiva di rilevare la posizione della macchina ed i suoi spostamenti. Quella sera rischiammo, perché Dimitri aveva parcheggiato la sua auto a poche decine di metri dalla compagnia Carabinieri di Villa San Giovanni, ma per fortuna nessuno dei militari si accorse di qualcosa. Inutile specificare che per effettuare tali operazioni tecniche eravamo in possesso delle relative autorizzazioni della Magistratura richieste e rilasciate preventivamente. Comunque quando venivano effettuati servizi d'installazione di microspie era fondamentale passare inosservati e non essere notati da nessuno, tanto meno da colleghi o altre Forze di Polizia. Insomma il caro Dimitri adesso era super attenzionato. Cellulare sotto controllo, microspia e gps in macchina e telecamera nel loro segreto (pensavano loro) punto d'incontro abituale. Individuammo così Gaetano Campolo Ciccio S. e altri soggetti ancora. Tra i pochi prescelti nelle amicizie fidate di Dimitri, ci balzo subito all'occhio un giovane che però non era di Anchi ma abitava in una via del centro a Reggio Calabria, anche se, nella zona collinare sopra il Cep, la sua famiglia possedeva una seconda casa. Si chiamava G.G. ed era un laureando in giurisprudenza, insomma un prossimo avvocato. Pensammo, che ci faceva un giovane come lui con esponenti della più potente cosca di Archi? Col passare dei giorni, avemmo modo di constatare che il soggetto G.G. godeva della più completa fiducia di Dimitri e della stessa famiglia De Stefano. Naturalmente anche lui subì lo stesso trattamento tecnico che aveva subito il più piccolo dei figli del defunto Don Paolo. Quando si scopriva un elemento nuovo, su di lui effettuavamo tutti gli accertamenti possibili ed immaginabili, a partire dalla reperimento della foto. Se a quei tempi ci fosse stato Facebook, mi sarei risparmiato tempo e fatica. Le notizie e foto le avrei potuto reperire facilmente visionando il profilo del soggetto indagato. Invece a quel tempo FB non c'era, per cui conoscere determinati dati, occorreva recarsi presso appositi uffici. Del G.G. in questione, scoprimmo tutto, gli contammo come si suol dire anche i "peli del culo" e senza che lui se ne accorgesse. Insomma un ottimo risultato. Tra le persone intercettate, G.G. da subito ci risultò molto antipatico, aveva un tono scanzonato e sprezzante nei confronti della gente ma soprattutto nei confronti delle Forze di Polizia. Un esempio. In quel periodo, c'era una pattuglia fissa in divisa della Polizia di Stato che stazionava 24 ore su 24 a Piazza Castello in servizio di vigilanza. Lui il G.G. solitamente per fare rientro a casa sua passava per quel luogo: Adesso non ricordo cosa accadde di preciso, ma il giorno dopo il G.G. futuro avvocato, parlando al cellulare con un altro accolito o forse con lo stesso Dimitri, fece riferimento alla pattuglia della polizia ferma a Piazza castello, definendoli "GLI SBIRRI DEL CASTELLO". Ebbene quella frase diede molto fastidio a noi tutti del Settore Centro, insomma usando una frase in dialetto reggino, "Ndi minau nte corna". Ciò fece aumentare la nostra antipatica nei suoi confronti, non facendoci dimenticare però che eravamo dei professionisti e come tali, investigavamo e operavamo con serietà e distacco, senza niente di personale nei confronti delle persone investigate. L'antipatia ed il risentimento verso un soggetto, scompariva quando subentrava l'attività professionale. Comunque il nostro amico prossimo avvocato continuò ad essere sottoposto ad un'attenta osservazione. Anche la sua seconda abitazione sita nella campagna di Archi non sfuggì al controllo, insomma battevamo tutte le piste specie quando venivamo a conoscenza che Giorgia De Stefano avrebbe accompagnato il nipotino (figlio di Carmine e di Giusy Coco Trovato) dal padre. Accadde in più di una occasione e nel passaggio di autovetture il non ancora avvocato G.G. ebbe spesso un ruolo primario. Ricordo che una sera durante uno di questi trasferimenti, organizzammo un servizio apposito con l'ausilio di mezzi e uomini. A passaggio avvenuto, Dimitri non so come notò la presenza di una autocivetta impegnata nel pedinamento, A quel punto come il più spericolato dei piloti e a velocità pazzesca ci superò e raggiunse la macchina con a bordo la sorella ed il nipote fermandoli e avvisandoli del pericolo. Ovviamente la famigliola fece ritorno a casa quella sera. Da una intercettazione non ricordo se ambientale o cellulare, il giorno dopo apprendemmo dalla voce dello stesso Dimitri che parlando della Polizia, disse:- hanno anche la fiat brava". Da quel momento naturalmente la nostra auto fu messa a riposo ed impiegata per altri servizi. Dopo tanti anni quasi 22 anni, ricordarsi a mente dei numerosissimi servizi effettuati per quell'indagine è molto difficile e tanti passaggi non saranno citati anche perché i particolari mi sfuggono. Durante un servizio di appostamento una sera notammo che Giorgia De Stefano unitamente al fratello Dimitri e alla cognata FIORENZA Nataly Samantha fidanzata di Giuseppe De Stefano saltuariamente si fermavano fuori la loro abitazione di CTD Armacà con a vista la strada che conduceva a casa loro. Dalla loro posizione potevano intravedere molto bene l'arrivo di eventuali visite indesiderate. Mi studiai un percorso alternativo da utilizzare a piedi. Decisi quindi che alla prossima occasione a qualche centinaio di metri avrei tagliato in un punto nascosto la recinsione di un giardino e percorrendolo al buio, sarei potuto arrivare proprio vicino la loro abitazione. E così fu. Una sera, ancora una volta Giorgia Dimitri e Samantha, si fermarono fuori casa dei De Stefano per parlare e discutere. Calcolai che mi sarei perso almeno 15 minuti buoni di conversazione tra i tre, tempo necessario per percorrere quel tratto, in silenzio e buio. Spensi cellulare e radio portatile avvisai i colleghi quella sera in servizio con me recisi la rete e m'introdussi nel giardino al buio. Non posso certo ricordare come riuscì a muovermi nell'oscurità e a non fare rumore ma se non ricordo male, ne approfittai dell'arrivo di una macchina di un loro conoscente che rimase con il motore acceso conversando con i tre. Il rumore coprì i miei passi tra i rami di alberi e nell'erba e finalmente riuscì a posizionarmi a meno di 5 metri dal gruppetto prima che la macchina andasse via. Stavo totalmente disteso, ero vestito completamente di nero e completamente invisibile si potrebbe dire. Vinsi la repulsione e lo schifo di un topo di campagna che mi camminò sulla gamba, ma rimasi fermo e immobile. Purtroppo il colloquio tra i tre che ignoravano di avere a pochi metri un poliziotto nascosto tra l'erba, duro per pochi minuti ancora.

Durante quel poco tempo non ascoltai niente di rilevante ed utile all'indagine. Insomma tanta fatica per niente, ma si sa, non tutte le ciambelle riescono col buco. Avevamo iniziato il servizio quasi ad inizio primavera del 2001, avevamo trascorso l'intera estate senza che mai una volta avessimo abbassato la guardia Dimitri De Stefano, i giorni di caldo estivo li trascorse sulla spiaggia di Scilla, mentre sull'altra riva dello Stretto ovvero dalla parte siciliana a Torre Fato vicino al Pilone siculo, stava disteso ai raggi del sole suo fratello Giuseppe. La spieggia di Scilla era sempre super affollata e consentiva a loro (ai De Stefano) quindi di confondersi tra i bagnanti impedendo alcun tipo di servizio. Chissà ipotizziamo sognando, magari un giorno lo stesso Carmine latitante sarà andato sulla spiaggia di Scilla a godersi il mare ed il sole e magari a bordo di un gommone avrà attraversato lo stretto raggiungendo il fratello Giuseppe sulla sponda siciliana. Insomma tutto sarebbe stato possibile oppure tali ipotesi potevano essere inquadrate nell'ottica di leggende metropolitane. In ogni caso ormai non ha più importanza. Posso solo affermare che nulla fu lasciato al caso, furono battute tutte le piste compresa quella di seguire Dimitri a Panarea durante un suo breve soggiorno nell'isola. Utilizzammo tutti i mezzi che ci forniva l'Amministrazione a quel tempo, ma la calda estate trascorse senza che noi riuscissimo a mettere il sale sulla coda all'uccel di bosco. E giunse l'autunno. I tempi stringevano e anche il Dottor V.L. adesso sembrava impaziente di giungere a dei risultati positivi. Una sera dei primi di ottobre se non ricordo male io e l'Ispettore L.C. trovandoci in giro, notammo la renault 4 di colore rosso solitamente utilizzata da Campolo Gaetano.

Campolo Gaetano

Decidemmo di pedinarlo. Riuscimmo a stargli dietro e la R4 prese la strada che porta nel popoloso quartiere Arghillà. Nella parte sud vi è un grande condominio a semicerchio.

Il cancello era chiuso ma lo vedemmo azionare il telecomando. Allora Gaetanino era di casa in quel grosso edificio! Chissà chi andava a trovare ci chiedemmo. La R4 rossa percheggiò all'inizio, ma quella sera non avemmo modo di notare in quale scala entrasse. Quella sera stessa e anche l'indomani chiesi ai miei superiori di consentirmi di fare accertamenti sugli abitanti del posto ed anche degli appostamenti. Precisai che mi serviva un solo uomo, ma niente, mi fu negato il tutto e mi fu vietato di prendere alcuna iniziativa in merito. Ciò nonostante ogni tanto quando capitava, nelle ore diurne facevo un passaggio davanti al grande condominio. Non so perché, ma l'istinto mi diceva che in quel posto c'era qualcosa che non andava. Avevo studiato a fondo il soggetto Gaetano CAMPOLO, avevo studiato la sua personalità i suoi movimenti e lui abitante in Via Corvo ad Archi, che ci andava a fere ad Arghillà in un condominio ed apriva il cancello con il telecomando? Se fosse arrivato, sceso e citofonato, forse allora non avrei preso in considerazione l'episodio, ma lui che arrivò ed aprì con il telecomando, stava a significare che in quel luogo era di casa, non si trattava di una visita occasionale. E la sua presenza in quell'edificio non era dovuta a motivi suoi personali del genere l'abitazione della sua fidanzata! No, non era farina del suo sacco. Gaetano era andato ad Arghillà perchè stava facendo qualcosa per qualcuno. Tutto questo mi suggerì il mio istinto, ma non ebbi la possibilità di approfondire. MI FU VIETATO. Continuammo il servizio concentrandoci sul laureando G.G. che nel frattempo non aveva certo smesso di offrire i suo servigi alla famiglia De Stefano, nella persona di Dimitri. Il suo aiuto consisteva nel fare da appoggio o da seconda macchina accompagnando Giorgia ed il nipotino dal latitante. Ciò fu appurato durante i vari servizi. Insomma G.G. era un tipo molto affidabile per i DE STEFANO e veniva utilizzato per incarichi molto delicati e pericolosi. Mi chiesi spesso se lui G.G. quasi avvocato, quando svolgeva queste azioni, si rendeva conto di cosa fosse il reato di favoreggiamento. E venne dicembre del 2001. Nel contesto del servizio di controllo, venimmo a conoscenza che G.G. ovvero la sua famiglia aveva effettuato l'acquisto di una fiat punto. Ora non ricordo se si trattasse di una macchina nuova oppure di seconda mano o aziendale. Fatto sta che loro la comprarono e noi nottetempo ci piazzammo gli accessori. IL problema per loro consisteva principalmente nel reperire autovetture mai usate da utilizzare nei loro spostamenti e questa nuova macchina nella disponibilità di G.G. poteva prestarsi allo scopo. Dal giorno della sua apparizione, facemmo molta attenzione a non molestare in alcun modo il G.G. il quale era convinto che non fosse stato individuato dagli Organi investigativi, quale presunto favoreggiatore dei DE Stefano. Viceversa gli altri soggetti di cui ci rendevamo conto che non ci avrebbero portato a niente, li bruciavamo, nel senso che gli piombavamo in casa alle prime luci dell'alba effettuando delle perquisizioni. Così saremmo stati sicuri che dii conseguenza sarebbero stati automaticamente messi in panchina. Ai familiari del latitante erano rimasti pochi fedeli e questi fedeli noi ufficialmente non sapevamo chi fossero.  

CAPITOLO 4 La voce misteriosa

Quando gira dicembre, s'inizia a respirare l'aria del Natale e ciò accadde anche quel lontano 2001. Noi tutti del Settore Centro, già dai primi giorni dell'ultimo mese dell'anno, iniziammo a pensare ai turni di ferie durante il periodo natalizio. A come avrebbe trascorso le feste il latitante e se i suoi familiari ne avrebbero approfittato ancora una volta per farlo incontrare con il figlio. Ed ecco che il destino invece aveva in serbo qualcosa di diverso per noi. Finalmente ogni tanto un colpo di fortuna potrebbe dire qualcuno! Invece fu l'intuizione e la tenacia a condurci al traguardo. La famosa autovettura di G.G. Venne utilizzata per accompagnare Giorgia ed il nipotino nel covo del latitante. Ed indovinate dove andò a fermarsi la macchina? Nello stesso grande edificio a semicerchio del villaggio Arghillà Sud, ovvero dove qualche mese prima avevamo visto entrare Campolo Gaetano utilizzando un telecomando per aprire il cancello. Dal tenore della conversazione avvenuta in auto e registrata era chiaro ed evidente che si stavano recando a trovare il latitante. Erano sicuri che la macchina utilizzata fosse priva di microspie, per cui si lasciarono andare a qualche parola di troppo che ci fece capire la loro destinazione e chi andavano a trovare. Potete immaginare l'entusiasmo che coinvolse tutti. Ci trovavamo a poche centinaia di metri dal traguardo e appunto per questo si doveva rimanere in silenzio e guardinghi, molto guardinghi. Qualche giorno per preparare l'operazione in tutta fretta per la paura che il latitante fosse spostato di covo e finalmente arrivò l'8 dicembre 2001. A notte fonda un centinaio di uomini della Polizia di Stato giunse velocemente al Villaggio Argillà sud e circondò completamente il grande complesso residenziale a forma di semicerchio. Io consapevole delle mie convinzioni mi feci assegnare la scala B dove effettuare le perquisizioni domiciliari anche perché se non ricordo male si ascoltò questa lettera nella conversazione intercettata sulla macchina.

Al comando dell'Ispettore A. D.A. insieme a Personale del G.O.S. Gruppo Operativo Speciale della P. di S. che noi chiamavamo "le teste di cuoio nostrane" iniziammo il servizio.

Ogni piano venne prima piantonato, poi dal primo piano s'incominciò a ispezionare gli appartamenti. L'autorizzazione del Magistrato ci consentiva di abbattere ogni eventuale ostacolo, per cui nelle abituazioni dove non rispondeva nessuno, entrava in azione l'ARIETE e la porta veniva abbattuta dagli uomini del G.O.S. Purtroppo gli anni passano e a volte la memoria fa brutti scherzi. Non ricordo se ci trovavano al terzo o quarto piano o addirittura il quinto. Suonammo ad una porta blindata per diverse volte ma non ottenemmo risposta. Diedi il via all'uomo del G.O.S. munito di "ariete" e costui partì assestando un colpo micidiale. Il poliziotto ritornò all'indietro, ma la porta che era blindata, non si aprì. Ritentò di nuovo assestando un altro colpo ancora più violento e micidiale di quello di prima, ma niente il portone blindato resistette ancora. Intestardito e sorpreso della resistenza dell'ostacolo vibrò allora una serie di colpi a ripetizione che mancò poco che crollasse l'intero palazzo. Niente da fare non si apriva, era solo riuscito a scardinare leggermente il portone blindato che però non consentiva da alcuna fessura di poter dare un'occhiata all'interno. Ciò nonostante andava aperto per cui si decise di chieder l'intervento dei Vigili Del Fuoco. Loro possedevano sicuramente i mezzi per aprirlo. Nell'attesa che dell'arrivo di costoro, naturalmente io l'Ispettore A.D.A. rimanemmo sul pianerottolo insieme all'uomo del G.O.S. che aveva risposto l'ariete ormai sconsolato per il suo mancato sfondamento. Io ogni tanto per ingannare il tempo suonavo ripetutamente il campanello gridando:- c'è qualcuno?. Ricordo che facevamo un gran casino, tanto ormai si può dire tutta Arghillà era sveglia e non avevamo paura di disturbare qualcuno. Preciso che ancora non erano le 06.00 di quella domenica 8 dicembre 2001 e la gente per bene dormiva. Ad un certo momento dopo una mia ulteriore scampanellata, sentii provenire dall'interno dell'appartamento una vocina che al momento mi sembrò quella di una vecchina per quanto fosse fina e lieve. Esclamò:- chi è? Confesso che a sentire quelle due parole m'incazzai di brutto: Co tono alterato e arrabbiato gli risposi:- come chi è siamo della Polizia, ma non ha sentito tutto il rumore che c'è stato, se ci riesce apra il portone. Sentii armeggiare dall'interno ma la porta non si aprì. Questa volta la voce ben più chiara mi fece capire che era quella di un uomo, allora mi suonò il primo campanellino di allarme. L'uomo disse:- non ci riesco è bloccata. Attendiamo l'arrivo dei vigili del fuoco gli risposi! Confesso che dopo aver appurato che dietro il portone blindato e bloccato c'era un uomo, tolsi la sicura alla pistola e mi misi di lato. Lo stresso fecero gli altri che erano con me. I vigili tardavano ad arrivare e ad un certo punto la voce dell'uomo dall'interno, con tono di rimprovero, mi disse:- ma insomma quanto tempo impiegano questi pompieri ad arrivare?. Questa frase mi disorientò un po'. Pensai non può essere il latitante cazzo, uno che si lamenta rimproverandoci! Finalmente i tanto attesi VVFF arrivarono portandosi dietro un attrezzo che riuscì dove l'ariete della polizia aveva fallito. Il portone blindato fu spalancato e nell'ordine entrammo il poliziotto del G.O.S. munito di giubbotto antiproiettile poi io e dietro di me l'Ispettore A.D.A. L'uomo del G.O.S. si addentrò nell'appartamento io invece notai la stanza della cucina sulla mia destra e decisi di iniziare il controllo alla ricerca dell'uomo dalla voce misteriosa. Avevo la pistola in pugno e cane alzato. In fondo alla cucina vicino al frigorifero c'era un giovane il quale intimorito anzi addirittura spaventato mi porse una carta d'identità dicendo: sono….. Io gurdandolo attentamente in viso gli risposi:- Non c'è bisogno che mi dica chi è lo so già chi è lei! Il latitante Carmine DE STEFANO era lì di fronte a me.

 Avevamo raggiunto il traguardo. Il Settore Centro della Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile di Reggio Calabria, seppur privo di cavalli da battaglia, aveva vinto la corsa. Incominciarono ad arrivare gli altri e il Dottor V.L. sperduto tra i meandri del grande edificio quando fu raggiunto dalla telefonata dell'avvenuto arresto e che la caccia era finita, percorse il tragitto di corsa sino alla scala B e salì senza usare l'ascensore. Fece il suo ingresso nell'appartamento ed era bianco in volto, anzi oserei dire cadaverico. Non scorderò mai la sua faccia. Fissò a lungo l'ormai ex latitante come se non credesse ai suoi occhi, ma io ancor oggi sono convinto che cercasse una rassomiglianza tra la fisionomia che presentava il latitante il quel momento, confrontandola mentalmente con la vecchia foto segnaletica che possedeva la Polizia. Al suo ingresso io ero seduto in cucina e seduto rimasi. Carmine mise la macchinetta del caffè sul fuoco e chiacchierammo di argomenti banali e questa non è certamente una balla ma pura verità. Dopo un primo momentaneo timore al momento del nostro ingresso il DE STEFANO si tranquillizzò e ci chiese di avvisare la sua famiglia. Cosa che facemmo. Mentre lo stesso veniva condotto in Questura ed altro personale provvedeva alla perquisizione dell'appartamento, io e l'Ispettore L.C. ci recammo ad Archi ed imboccammo la strada secondaria di CTD Armacà che conduceva alla casa dei de Stefano. Appena scesi, ricordo che notai la Signora Rosetta intenta a curare alcune piante nel suo cortiletto davanti l'ingresso. Non so perché ma guardai l'orologio, erano le 07.00. Ci presentammo chiedendo di entrare. Lei aprendo il cancelletto credo abbia pensato ad una delle solite perquisizioni ma le venne sicuramente il dubbio in quanto eravamo solo in due. L'Ispettore L.C. le chiese di poter parlare con Dimitri. Dato che quest'ultimo ritardava a scendere, nel frattempo fece la sua comparsa la figlia Giorgia. Vista la preoccupazione della Signora Rosetta e le sue insistenti domande sul motivo della nostra presenza a casa sua, L.C. le disse:- Stamattina abbiamo arrestato Carmine. Non si preoccupi sta bene e lo stanno portando in Questura. A sentir proferire quella frase, Giorgia esclamo:- E' la prima volta che la Polizia viene in casa nostra con il sorriso sulle labbra. Ne io tantomeno l'Ispettore stavamo assolutamente sorridendo anche perché non c'era motivo. Prontamente le risposi:- non credo proprio a noi dell'arresto di suo fratello non ce ne viene niente. Abbiamo fatto semplicemente il nostro lavoro. Ricordo che la Signora Rosetta sentendo la figlia esclamare quella frase la rimproverò subito dicendole:- stai zitta queste persone fanno solo il loro lavoro. Giorgia tacque. Andammo via invitando i familiari di Carmine a venire in Questura durante la mattinata per portargli un borsone con degli indumenti e a condurre anche il figlioletto, cosa che di fatto avvenne.

Quel giorno per Carmine De Stefano si concluse un ciclo di vita da ricercato iniziato i primi di ottobre del 1994. Paradossalmente da me era incominciato e con me presente aveva visto la fine. Erano passati anni, ma tutto ciò ci fa capire che niente dura per sempre. Ogni cosa ha un inizio ed anche una fine. Quel giorno in Questura un uccellino mi sussurrò che alla notizia dell'arresto di Carmine De Stefano appresa al suo arrivo in Ufficio, un alto personaggio di quella famosa sezione addetta alla cattura dei latitanti, con molta fatica riuscì ad infilare la chiave nella serratura perché non trovava il buco ed aprire la porta. Forse anche questa una delle tante leggende metropolitane nate attorno a questa storia ormai passata. Posso solo aggiungere che quella mattina rispondendo a Giorgia De Stefano con le parole:- a noi dell'arresto di suo fratello non ce ne viene niente, fui profetico. Infatti da quell'arresto costato sudore fatica pericolo e tempo rubato all'affetto e alla cura dei propri familiari, ci procurò solo un semplice encomio semplice: per un'attività investigativa che si concluse con un arresto di un latitante eccellente, come minimo era da richiede proposte di avanzamento a grado o minimo encomio solenne. Invece ci venne attribuito un semplice encomio semplice. Io personalmente di encomi semplici ne avevo già tanti ma ottenuti per operazioni di Polizia di scarso rilievo ed importanza, come ad esempio l'arresto di due scippatori in flagranza di reato. Insomma l'arresto di un super latitante paragonato ad un reato da quattro soldi. Anzi aggiungo che per l'arresto dei due scippatori ottenni di più, l'encomio semplice e 300.000 lire., ed eravamo nel 1988. Per l'arresto di Carmine che dall' punto di vista dello spessore criminale era al vertice dell'importanza, ottenni, anzi ottenemmo ugualmente un encomio semplice che adesso giace dimenticato nel fondo di un cassetto insieme a tanti altri encomi semplici encomi solenni lodi etc etc . Ma in fondo non ha importanza, anche se ciò accadrà nuovamente qualche anno dopo. Ma si sa, sono gli inconvenienti del mestiere di poliziotto, dove anche l'attribuzione delle ricompense per operazioni di Polizia diventava politica interna e subentravano le situazioni di simpatia ed antipatia. Decisiva quindi si rivelò la mano di colui che alla fine scrisse le proposte e credetemi i preposti a tali compiti compilatori non sempre scrivevano bene.

Di questa storia ho omesso volontariamente di citare alcuni personaggi e fatti che conseguenzialmente facevano parte della vicenda giudiziaria. Nomi ed episodi che naturalmente furono portati a conoscenza dell'A.G. Ma essendo questa una storia su cui è stata scritta la parola fine da tanto tempo, trovo giusto non scrivere di personaggi e particolari relativi all'indagine svolta all'epoca. C'è chi dimentica e preferisce essere dimenticato anche per cose di scarso rilievo. Di Gaetano Campolo invece ne ho voluto rivelare apertamente l'identità, perché tutto sommato Gaetanino ci risultò da subito simpatico, almeno per quanto riguarda me ed il collega Peppone. Gaetano fu un giovane bonaccione nato e cresciuto in un ambiente particolare e per puro caso si trovò o fu tirato dentro un ingranaggio criminale che non gli si confaceva, ma che gli forniva quel tanto di necessario per campare. Dal punto di vista giudiziario non lo sto certamente giustificando! Quello che voglio semplicemente dire e che Gaetanino rispetto agli altri accoliti del giro di Dimitri De Stefano, non aveva certo la stoffa del malavitoso, non ne possedeva l'aspetto e tanto meno le intenzioni. Insomma era uno che per la sua espressione sembrava un tizio qualsiasi un pinco pallino qualunque che passava inosservato. E forse appunto per queste sue caratteristiche fu utilizzato in seno alla cosca come prestanome e da paravento. Ma a noi non sfuggì.

E qui finisce la storia? Ancora no!

Il 21 novembre del 2003, nel frattempo alla guida della S.C.O. c'era stato un avvicendamento. Il Dottor V.L. era stato trasferito al altro incarico e al suo posto arrivò il Dottor L.S. Sotto la sua dirigenza la Magistratura spiccò le ordinanze di custodia cautelare in carcere per i favoreggiatori della latitanza di Carmine De Stefano! Le ordinanze interessarono anche Gaetano Campolo e il famoso G.G. Io con la mia solita fortuna venni assegnato all'arresto di G.G. Ricordo che la pattuglia era guidata dall'Ispettore A.C. e con noi c'era anche una collega di cui sinceramente non ricordo il nome. A casa G.G. non lo trovammo. Effettuando opera di persuasione e senza riferire il vero motivo della nostra presenza a casa loro, la collega si appartò con la sorella di G.G. e riuscì a farsi dare l'indirizzo di dove in quel momento d si trovasse il fratello. Lasciando del personale in casa dei genitori di G.G. ci recammo al citato indirizzo. G.G. era in compagnia della fidanzata e aprendo la porta ebbi subito modo di constatare che non aveva perso la sua solita sfrontatezza ed arroganza evidenziata qualche anno prima e registrata nelle sue conversazioni intercettate. Lo invitammo a vestirsi senza ancora rivelargli nulla. Ricordo che era seduto sul letto e si stava allacciando le scarpe. Se ne uscì con questa sua frase da arringa in Tribunale :- non capisco il motivo di questa perquisizione, io sono…. (forse stava per dire io sono un avvocato). Io lo interruppi subito dicendogli:- G. questa non è una perquisizione! Siamo venuti ad arrestarti. Era una cosa che non avevo mai fatto, con nessuna delle numerosissime persone arrestate nel corso di quegli anni. Però la frase di qualche anno prima pronunciata da G.G con tono quasi sprezzante "GLI SBIRRI DEL CASTELLO", ancora mi pesava sullo stomaco e non l'avevo digerita nonostante fosse già passato molto tempo. Da parte mia la posso definire una piccola cattiveria che ritardò ulteriormente il nostro rientro in Questura. Il G.G. a quelle parole fu preso da un problema intestinale e dovette ricorrere alle cure dei sanitari! No, non nel senso dei medici, i sanitari del bagno intendo.

Rientrati in Ufficio quasi tutte le ODCCC erano state eseguite. All'appello mancava il buon Gaetano Campolo che non era stato trovato nella sua abitazione di Via Corvo ad Archi. Subito iniziarono a parlare di lui come di un latitante!

Insomma la solita storia e i soliti sospetti paventati quando non si trova a casa una persona da arrestare. Qualcuno si mise subito al computer per diramare le ricerche. Io ero seduto alla scrivania e rimasi zitto, mentre il Dottor L.S. strillava e tutti parlavano a voce alta. Guardai il buon collega Peppone e gli dissi:- Prendi la macchina ed usciamo. Di fatto uscimmo senza dire niente a nessuno. Una volta in macchina aggiunsi:- Andiamo verso Arghillà. Lo feci arrivare al Villaggio nord e fermarsi davanti al civico 48. Scesi e guardai nel citofono. Si quel nome c'era ancora E.M. e a conferma di quanto avevo ipotizzato dentro al grande parcheggio nel cortile del condominio era ferma la renault 4 rossa utilizzata da Gaetano Campolo. Dissi a Peppone di aspettare sotto, scavalcai l'inferriata (allora ero in grado di farlo) e mi diressi verso il portone. Sul citofono sempre lo stesso nome e cognome E.M. Senza esitazione citofonai. Mi rispose una voce di donna:- chi è? Polizia apra risposi e a che piano è? La donna rispose quinto. Salì al quinto piano da solo e mi aprì la porta una donna che io già conoscevo. Gaetano mi venne incontro infilandosi i pantaloni e terminando di vestirsi. Senza preamboli e giri di parole gli riferì che ero là per arrestarlo. Dal telefono fisso dell'abitazione telefonai al Dottor L.S. Gli dissi semplicemente:- mandate una pattuglia a questo indirizzo e fateli salire al quinto piano, ho trovato Campolo Gaetano. Sotto troveranno il collega G.C. e chiusi. Da li ad un quarto d'ora arrivarono i colleghi. Io me ne scesi giù in strada. Salito in macchina dissi a Peppone:- possiamo andare……………………………..Affanculo aggiunse Peppone! Si proprio affanculo confermai io.

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